Rilevanti implicazioni della disfunzione corticale nella SLA

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 15 ottobre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 L’interessamento del neurone superiore nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA o ALS, secondo l’acronimo inglese) è nozione classica in neurologia, consolidata da decenni, ma nella pratica clinica ancora molti neurologi in tutto il mondo considerano questa grave patologia neurodegenerativa come una malattia quasi esclusivamente spinale.

Numerose osservazioni hanno consentito di stabilire che la disfunzione della corteccia cerebrale, e segnatamente lo sviluppo di ipereccitabilità, costituisce un elemento precoce ed intrinseco del fenotipo della SLA, sia nella forma sporadica sia nella forma familiare. Tale tratto fenotipico precede dunque cronologicamente l’insorgenza della disfunzione del motoneurone del midollo spinale e, come è stato dimostrato, è strettamente connessa con i successivi processi di alterazione funzionale e degenerazione del motoneurone inferiore. La ricerca più recente fornisce elementi a supporto di un ruolo patogenetico della disfunzione della corteccia cerebrale nello sviluppo della patologia e, conseguentemente, nella comparsa delle manifestazioni cliniche tipiche della SLA, perché l’ipereccitabilità delle cellule nervose della corteccia motoria medierebbe la degenerazione dei motoneuroni attraverso un meccanismo eccitotossico trans-sinaptico mediato dal glutammato.

Un’interessante rassegna, che copre il campo delle principali ricerche sulla disfunzione corticale nella SLA, è stata presentata in advance online edition per Nature Reviews Neurology da quattro ricercatori australiani e uno statunitense, che hanno particolarmente sottolineato le potenzialità delle nuove acquisizioni per lo sviluppo di una diagnosi di gran lunga più precoce di quella posta secondo i criteri attuali.

(Geevasinga N., et al., Pathophysiological and diagnostic implications of cortical dysfunction in ALS. Nature Reviews Neurology Epub ahead of print doi: 10.1038/nrneurol.2016.140, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Western clinical School, University of Sidney, Westmead Hospital, Cnr Hawkesbury and Darcy Road, Wentworthville, New South Wales (Australia); Davee Department of Neurology and Clinical Neurological Sciences, Northwestern University, Feinberg School of Medicine, Chicago, Illinois (USA); Brain and Mind Research Institute, University of Sydney, New South Wales (Australia).

Per introdurre la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dopo aver ricordato che gli elementi neuropatologici caratterizzanti sono la perdita dei motoneuroni, la presenza di inclusioni ubiquitina-positive nei neuroni di moto rimanenti e la deposizione di aggregati patologici di TDP-43 come in molti casi di DFT[1], riportiamo un brano da una nota precedente:

“La prima descrizione della sclerosi laterale amiotrofica si fa risalire a Charcot, che studiò con Joffroy gli aspetti patologici di quel quadro clinico mai descritto in precedenza, pubblicando un dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault, come risulta dalla pubblicazione del 1871. In una serie di letture accademiche, proposte fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione accurata e completa di tutto quanto era stato osservato e trovato su quella grave forma di perdita progressiva della funzione muscolare. In Francia, la sindrome fu subito chiamata Malattia di Charcot, ma il neurologo e neuropatologo francese raccomandava la denominazione riassuntiva dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi laterale amiotrofica. E con tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana. In precedenza, nel 1858, Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea, denominazione corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869 Charcot richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare progressiva, e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto con la Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi ad una patologia primariamente muscolare[2]. Fu Cruveilhier a notare per primo l’assottigliamento delle radici motorie anteriori del midollo spinale nell’esame autoptico di questi pazienti e a ricondurre a patologia del midollo spinale la conseguente perdita di tono, trofismo e riflessi dei muscoli[3].

Questi cenni storici ci introducono alla realtà clinica secondo i criteri nosografici attuali, che si basano sul concetto di “malattia del motoneurone”. Tale definizione comprende un gruppo di disturbi degenerativi progressivi che interessano le cellule nervose motorie del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia cerebrale, che si manifestano con debolezza muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in varia combinazione. Nel sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un criterio anatomo-clinico, un motoneurone inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei segmenti più craniali del nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone inferiore, come nel caso dell’atrofia motoria spinale (AMS), solo il neurone superiore, come nella paraplegia ereditaria spastica (PES), o entrambi, come nella SLA.

Anche se approssimativamente il 90% dei casi di malattia del motoneurone è sporadico, ovvero non legato ad eredità familiare, la massima parte della ricerca sulle cause si è concentrata sulle forme familiari di SLA e AMS, identificando mutazioni causali in geni specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare, le proteine mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[4].

Nel 5-10% dei casi di SLA familiare (fALS) ad eredità autosomica dominante (ALS1) si verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[5]. Nella ALS2 delezioni autosomiche recessive sono state identificate nel gene ALS2, che codifica l’Alsina, una proteina che regola le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi ad eredità autosomica dominante di malattia del motoneurone e possono, come varianti alleliche, agire da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una rara forma giovanile autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel gene SETX che codifica la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti per particolari aplotipi del promotore del VEGF presentano un accresciuto rischio di SLA[6][7].

Torniamo ora all’articolo di Geevasinga e colleghi qui recensito.

L’interessamento precoce del motoneurone superiore con disfunzione corticale nella SLA è parte di un quadro di progressi nella conoscenza della neurobiologia dei disturbi che interessano le cellule di moto del sistema nervoso centrale. Le malattie del motoneurone, che nel loro insieme si stima interessino circa 5 su 100.000 persone in tutto il mondo, come già accennato nel brano più sopra riportato da una nota precedente, possono riguardare solo il motoneurone superiore, come nelle paraplegie spastiche ereditarie, solo il motoneurone inferiore, come nell’atrofia motoria spinale, o entrambi i motoneuroni come nella SLA, che ha poi mostrato evidenti legami genetici con la demenza frontotemporale.

Con la definizione di demenza frontotemporale si indica un gruppo eterogeneo di sindromi caratterizzate clinicamente da un graduale e progressivo cambiamento delle condotte personali e dello stile comportamentale e di personalità, associato o meno ad una disfunzione del linguaggio graduale e progressiva che, talvolta, può apparire in forma isolata. Il quadro clinico, che raramente si manifesta dopo i 75 anni, decorre tipicamente per un certo periodo senza presentare l’interessamento di altri domini cognitivi. In un certo numero di casi i deficit linguistici e comportamentali si accompagnano o a sintomi di parkinsonismo o a segni di malattia del motoneurone. Il principale elemento neuropatologico è rappresentato dalla degenerazione lobare frontotemporale che, in base a criteri istochimici, può essere suddivisa in tipi istopatologici. Storicamente, i sottotipi della degenerazione frontotemporale lobare (FTLD) sono stati classificati in base alla presenza di un accumulo anomalo della proteina tau (FTLD-tau) e distinti da quelli con inclusi cellulari tau-negativi ed ubiquitina-positivi (FTLD-U). Poiché pazienti affetti da SLA spesso presentano segni rilevanti di interessamento dei lobi frontali insieme con elementi patologici delle forme FTLD-U, è stato proposto da Mackenzie e colleghi che le due malattie rappresentino due espressioni in uno spettro clinico di manifestazioni dello stesso processo patologico[8]. Questa ipotesi è stata poi supportata da dati istopatologici relativi a due proteine, TDP-43 e FUS, che presentano anomalie in entrambe le malattie[9].

La recente identificazione delle ripetizioni espanse di C9orf72[10] quale importante fattore di rischio genetico sia per la SLA sia per la demenza frontotemporale ha maggiormente evidenziato il ruolo della funzione della corteccia cerebrale nella patogenesi della SLA, ed ha confermato che la malattia può considerarsi parte di uno spettro di processi neurodegenerativi centrali.

L’ipereccitabilità dei neuroni motori della corteccia cerebrale sarebbe la chiave patogenetica della malattia, in quanto attraverso l’innervazione glutammatergica, per via trans-sinaptica, agirebbe sui motoneuroni con un meccanismo eccitotossico che ne determina la degenerazione.

I cambiamenti nella fisiologia della corteccia cerebrale che hanno luogo nella SLA potrebbero rivelarsi utili in clinica, quali biomarkers diagnostici, e potrebbero essere di ausilio per ottenere diagnosi di SLA in una fase veramente iniziale di sviluppo del processo patologico. Biomarkers fisiopatologici e diagnostici della funzione corticale potrebbero anche fornire conoscenze utili per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici, compresi gli interventi genetici e con cellule staminali, in tal modo migliorando le condizioni di vita e di adattamento ad una malattia tanto grave da parte delle persone affette.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-15 ottobre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 23-04-16 Nuove mutazioni in SLA e DFT.

[2] Di passaggio ricordiamo che, a quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel 1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra mai nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a supporre una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi (compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i neuroni del cervello.

[3] Per questi cenni storici si ringrazia la professoressa Monica Lanfredini.

[4] Per questi dati si ringraziano le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.

[5] In proposito, si ricordano gli studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo argomento da noi recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”). Attualmente almeno 10 differenti loci (ALS1-10) si ritiene che possano essere all’origine di forme “pure” di SLA (ALS, nell’acronimo inglese) per linkage genetico e per sette di essi sono state descritte mutazioni causanti la malattia (v. in Brady, Siegel, Albers, Price, Basic Neurochemistry, pp. 727-729, AP Elsevier, 2012).

[6] È suggestivo che VEGF, una citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.

[7] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Si raccomanda la lettura di questo articolo e delle decine di interessanti recensioni presenti nella sezione “Note e Notizie”: nel loro insieme possono costituire un completamento ed un aggiornamento delle trattazioni manualistiche più recenti.

[8] Mackenzie I. R., et al. Lancet Neurology 9 (10): 995-1007, 2010; Mackenzie I. R. A., et al. Acta Neuropathologica 119 (1): 1-4, 2010.

[9] Cfr. Lill C. M., Tanzi R. E., Bertram R., Genetics of Neurodegenerative Diseases, in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price) pp. 719-736 (p. 726), Academic Press (Elsevier), 2012.

[10] Uno studio condotto da Rajaeeve Sivadasan con Michael Sendtner e molti colleghi ha dimostrato che l’interattoma della proteina C9ORF72 contiene cofilina ed altre proteine leganti l’actina, e che le dinamiche dell’actina sono ridotte nei motoneuroni derivati dai pazienti con espansione intronica del gene di C9ORF72 legata alla SLA, con conseguente alterazioni della crescita dell’assone e della dinamica del cono di crescita (Sivadasan R., et al. Nature Neuroscience AOP, doi: 10.1038/nn.4407, published online 10 October 2016).